Van Der Poel, al Fiandre da padrone di casa

Due vittorie e un secondo posto in tre anni non li ottieni per caso: Mathieu Van Der Poel ha fatto del Giro delle Fiandre casa sua, sa perfettamente come gestirlo e l’ultima edizione ne è stata la chiara dimostrazione, perché ha saputo vincerlo dopo aver rischiato più volte di perderlo. Sembra incredibile parlare così dell’olandese quando nell’ultimo inverno era stato un “desaparecido”, alle prese con i tormenti della schiena, ma il lavoro, sia d’allenamento che di cura della parte dolorante, è stato davvero puntiglioso portandolo sin dal suo ritorno alle gare in ottime condizioni.

Van Der Poel aveva fatto le prove solo quattro giorni prima aggiudicandosi la Attraverso le Fiandre con una superiorità schiacciante su tutti gli avversari. Nella Classica Monumento ha saputo tenere a bada un focoso Tadej Pogacar, davvero eccezionale nella sua prima esperienza nella Corsa dei Muri, nella quale ha via via sgretolato la resistenza degli altri ma non quella dell’arancione, capace di resistere a tutte le sue sfuriate. Poi l’incredibile epilogo, con i due che hanno iniziato un surplace tale da permettere il rientro da dietro dell’olandese Van Baarle e del francese Madouas che hanno davvero rischiato di vincere. Van Der Poel aveva però le energie giuste per rintuzzare il loro attacco, Pogacar no.

Il campione sloveno ha chiuso quarto e questa esperienza gli dice molto in proiezione futura: le caratteristiche tecniche gli impongono di affrontare le gare in linea sempre di forza, attaccando. Le sue grandi vittorie sono arrivate in solitaria, tenere i suoi scatti significa spesso metterlo in difficoltà psicologica. L’epilogo finale gli ha lasciato molto amaro in bocca, senza nulla dopo tutto quel che aveva fatto per costruire la sua corsa, ma gli sarà utile in futuro, sicuramente il Giro delle Fiandre è nelle sue corde, ma servirà un’interpretazione tattica rivista.

Le classiche belghe stanno dando un indirizzo preciso alla stagione non senza sorprese: la vittoria di Biniam Girmay alla Gand-Wevelgem ha avuto il suono di un’autentica rivoluzione. L’eritreo si è dimostrato campione vero, capace di emergere su una vasta gamma di corse d’un giorno grazie alla sua resistenza unita alle sue doti di velocità, ma soprattutto ha detto in maniera inequivocabile che ormai il ciclismo è davvero uno sport universale, dove puoi pescare campioni in quasi tutti i continenti (manca ancora l’Estremo Oriente, ma ci si arriverà…). Girmay non è il solo esponente di un movimento, quello eritreo, finora poco appariscente solo perché interamente schiacciato dalle prospettive economiche della corsa a piedi, ma il numero die praticanti è in deciso aumento come anche in altri Paesi africani e i prossimi Mondiali in Rwanda saranno un ulteriore vetrina per incrementare il mercato interno.

Girmay lo rivedremo al Giro d’Italia, non per competere per la classifica ma per tirare qualche stoccata d’autore in una corsa che, via via, sta acquisendo sempre più qualità. Ci sarà anche Van Der Poel, con gli stessi obiettivi del corridore dell’Intermarché Wanty Gobert. Ci sarà da divertirsi.

Ciclozeman